Nel 2017 violenze in due strutture su tre. E nel 2018 va peggio
Insulti, minacce e tanta violenza: solo nel 2017, sono almeno 150 i medici e gli infermieri dei Pronto soccorso (Ps) vittime di aggressioni e per i quali si sono rese necessarie cure con prognosi di vari giorni. Una vera e propria "emergenza": nell'arco di due mesi, da marzo ad aprile 2017, infatti, aggressioni e violenze si sono registrati in 2 Ps italiani su 3 (il 63%), su un campione di 218 strutture monitorate, pari ad un terzo del totale. L'allarme arriva dalla Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu), che definisce tale situazione "non più sostenibile".
E non va meglio quest'anno: nel 2018, in base alle testimonianze raccolte dalla società scientifica, la situazione è "sensibilmente peggiorata in tutte le regioni, dal Friuli Venezia Giulia alla Sicilia, passando per il Lazio. E non si contano - denuncia la Simeu alla vigilia dell'XI Congresso nazionale di Roma - aggressioni verbali e intimidazioni". L'emergenza-urgenza, denuncia il presidente Simeu Francesco Rocco Pugliese, "è cioè sola davanti ad un cambiamento epocale che richiede una profonda trasformazione organizzativa, per far fronte al mutare delle richieste di salute dei pazienti, sempre più anziani e pluripatologici, e alle trasformazioni in atto nel sistema sanitario".
Ma quali sono le cause di questa escalation di violenze? Nel 50% dei casi le aggressioni si sono verificate dove il sovraffollamento è più grave. Proprio il sovraffollamento, sottolinea Pugliese, "principale fattore di difficoltà fra medici e pazienti, è un problema non solo stagionale ma endemico dei nostri Pronto soccorso. Tuttavia resta senza soluzione". Infatti, denuncia, "i Pronto soccorso non hanno personale a sufficienza e la nostra competenza specifica è una risorsa che non sempre viene sfruttata a pieno nell'organizzazione sanitaria". Ma la motivazione, aggiunge, "sta anche nel generale decadimento sociale in atto". Da qui l'urgenza di arginare il fenomeno con "misure concrete". Due le proposte lanciate da Pugliese: una revisione delle norme vigenti ed una misura "estrema" come il "togliere l'assistenza sanitaria ordinaria, esclusa l'emergenza, agli aggressori 'recidivi'".
Oggi infatti, spiega, "se non si superano i 20 giorni di prognosi, è il medico aggredito che deve denunciare l'aggressore. Ciò implica che, in molti casi, il sanitario non arrivi a denunciare l'accaduto. La nostra richiesta è che invece, come accade per i pubblici ufficiali, l'aggressione a personale sanitario diventi un reato perseguibile d'ufficio, indipendentemente dai giorni di prognosi previsti". Come "misura estrema - aggiunge - si potrebbe invece pensare ad uno stop all'assistenza sanitaria pubblica ordinaria per i recidivi. L'aggressione è un atto delinquenziale e come tale va perseguito". Quindi un invito al prossimo governo: "Il tema della sicurezza riguarda tutti, anche gli operatori sanitari e scolastici, ed il punto - conclude il presidente Simeu - è che bisogna attuare misure decise".
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